dal Corriere della Sera del 2 febbraio 2012. Articolo di Stefano Montefiori

PARIGI — Nei film francesi, in classe si sta zitti. Dai Quattrocento colpi di François Truffaut a La schivata di Abdellatif Kechiche a La classe di Laurent Cantet, le epoche, i quartieri e la severità cambiano, ma i bambini e i ragazzi stanno in silenzio, e prima di parlare alzano la mano. È il mito della scuola repubblicana, a sua volta vanto dello Stato centralista.
Nelle classi francesi, in realtà, si chiacchiera moltissimo, probabilmente quanto in qualsiasi altro Paese europeo, ma una professoressa di filosofia in un liceo vicino a Bordeaux ha deciso di non accettare più la situazione con rassegnazione e di porre il problema. «Quando i miei allievi si annoiano, chiacchierano — dice Florence Ehnuel, 45 anni —. Quando sono interessati e coinvolti, chiacchierano. Il risultato è che chiacchierano sempre, in ogni momento, e non sono più in grado di distinguere tra pensare e parlare».
Alle chiacchiere scolastiche la Ehnuel ha dedicato un libro, Le bavardage — Parlons-en enfin (Il chiacchierìo, parliamone finalmente), edito da Fayard, interessante perché descrive gli adolescenti non come una impenetrabile specie distinta dagli altri umani ma, al contrario, come la più perfetta e conseguente espressione della società attuale. Il filone è in parte quello inaugurato ormai tre anni e mezzo fa da Nicholas Carr con la celebre copertina dell’Atlantic e la domanda «Google ci rende stupidi?», ovvero un’indagine sui cambiamenti cognitivi prodotti dalle nuove (ormai non così tanto) tecnologie. In quest’ottica, le chiacchiere scolastiche non sono più — o non solamente — l’arma spuntata dei ragazzini brillanti per corteggiare compagne attratte da compagni più grandi, ma la tentazione pervasiva dello zapping anche all’interno delle mura scolastiche.
«Anche trenta o quarant’anni fa in classe c’erano dei chiacchieroni, naturalmente, ma erano in minoranza e facilmente identificabili. Ci potevano essere poi dei momenti di caos vero e proprio, ma il loro carattere esplosivo dimostrava proprio che si trattava di un’eccezione e che la disciplina era la regola. Oggi accade il contrario: nessuna rissa, ma un’indisciplina di bassa intensità, costante e banalizzata. Secondo me è la società a essere cambiata». Viviamo nell’era dell’appagamento istantaneo delle curiosità e della voglia di esprimere la propria opinione, meglio se breve e fulminea, necessariamente frutto di scarsa riflessione. Accade nei talk-show televisivi, dove ci si interrompe continuamente a vicenda e il tentativo di sviluppare un’argomentazione leggermente più articolata è visto come la peste, su Twitter regno del commento rapido (140 battute) e immediato, su Facebook con i suoi tasti «mi piace» o «non mi piace». Florence Ehnuel è per fortuna lontana dall’atteggiamento «signora mia dove andremo a finire», ma mostra di essersi a lungo interrogata sulla perenne carenza di concentrazione profonda dei ragazzi (l’ipotesi più facile, «sono un’insegnante noiosa», è stata scartata dopo il confronto con decine di colleghi, tutti nelle stesse condizioni). «Lo psichiatra Philippe Lacadée — dice l’autrice — si è dedicato al problema distinguendo tra “soddisfazione immediata” e “desiderio”. La prima rappresenta un piacere facile e vano, che non colma davvero il nostro bisogno, ma riesce a mascherarlo. Chiacchierando, non rinunciando mai alla battuta o al parere immediato del compagno, l’allievo spegne in lui il desiderio di sapere e di volgere davvero l’attenzione verso qualcosa di nuovo».
In classe, ma anche sul tram o in treno, non c’è mai il tempo di sviluppare il «desiderio» di conoscenza: chiacchierando, mandando sms o tweet o facendo continue microricerche su Google sugli argomenti più disparati, ci si riempie di parole capaci di nascondere un vuoto che giustificherebbe l’ascolto e la partecipazione alla lezione, o la lettura di un libro. «Il chiacchierìo, anche quello interessato e non aggressivo, dà una sensazione di pienezza — scrive la Ehnuel —, è una specie di indigestione che occupa la mente e rende anoressici rispetto al sapere».
Chiacchiere scolastiche, sms, tweet: stessa battaglia? «Una volta un mio allievo appena rimproverato mi ha detto “d’accordo, professoressa, non posso parlare con il vicino, ma possiamo almeno mandarci degli sms senza disturbare nessuno?”».

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